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In un mondo in cui il contenuto (originale) resta il re, e i milioni di milioni di pagine scritte sul web sembrano non bastare, anzi google le vuole allungare invece che riassumere, checché se ne dica la seo continua ad essere viva e vegeta, e con essa la link building, o baiting o earning o come si vuole chiamare, che sul web si vede sempre più sotterrare e poi riesumare il giorno dopo.
Ecco quindi alcune riflessioni personali su quella che secondo me è la strada che la seo sta percorrendo in questo presente, e di cosa stanno diventando la seo e la ricerca.
Innanzitutto c’è da dire che molti dei risultati organici sono stati ormai sorpassati di gran lunga dalla pubblicità in tutte le sue forme e dai contenuti automatizzati di Google.
I 3 banner in alto, quelli a destra, le immagini, Google Shopping, i risultati Local e gli altri contenuti del Knowledge Graph hanno ormai conquistato la prima pagina, e per vedere il primo risultato organico spesso è necessario fare uno scroll.
Ma questo sembra essere vero non per tutte le query. Alcune query infatti, sopratutto quelle non commerciali, mantengono in prima posizione i risultati organici. Questo è ovvio: se nessuno investe nella pubblicità per quelle parole chiave, i risultati organici restano al primo posto. Ma non appena qualcuno investe su una parola chiave, gli annunci incominciano a sovrastare i risultati organici che scendono sempre più in basso.
Mi sono accorto di una cosa: sembra che Google stia spingendo sempre di più i risultati organici verso la risposta dei bisogni degli utenti: ”come fare”, ”perché fare”, ”cosa è” ed altre simili sono le domande alle quali si trova risposta facilmente con risultati organici.
Se si cerca di posizionare una parola chiave, ad esempio ”patè di olive”, perché si ha un ecommerce e si vuole vendere quel prodotto, risulta ben difficile posizionarsi per quel ”vasetto di olive in vendita” semplicemente con la keyword generica patè di olive. Questo perché la maggior parte dei risultati che si trovano per patè di olive sono ricette. Questo potrebbe sembrare normale, se si pensa che la maggior parte delle persone potrebbero voler cercare le ricette del patè di olive, e quindi l’intento dell’utente che cerca la query patè di olive (almeno secondo Google) è quello di farsi un patè fatto in casa.
Ma essendo molto diffidente ho pensato subito che questo potesse essere uno stratagemma di Google per fare in modo che, se si vuole vendere il patè di olive, la seo non basti più e bisogna spingere sempre di più sui risultati a pagamento. Questo infatti accade per molte query e non soltanto per quelle legate al cibo, le più evidenti. Sembra quindi che Google stia marcando una netta distinzione tra quello che è ”l’intento a pagamento” è quello che ”l’intento non a pagamento” (intento di ricerca) dell’utente.
Questo sicuramente accade già da tempo, ricordo le prime lezioni di advertising online nelle quali si spiegava come il click dell’utente sulla pubblicità fosse un click molto più propenso all’acquisto, contrariamente ad un clic sui risultati organici che era più puramente intento informativo.
Pare però che questa tendenza si sia ultimamente estesa molto di più, anzi sia stata amplificata cambiando i risultati organici verso qualcosa che copre soltanto l’aspetto informativo della ricerca e non prende minimamente in considerazione l’aspetto dell’acquisto, almeno per i topic che hanno già investimenti in pubblicità alle spalle.
Nonostante ciò la seo è quella che, in maniera intrinseca e poco esplicita, fa fare la maggior parte dei soldi a Google, facendolo bello agli occhi dei suoi clienti – utenti. Avendo siti fatti bene in prima pagina, infatti, siti che seguono le linee guida dettate da Google, il motore di ricerca si assicura che i suoi clienti siano soddisfatti dei risultati che trovano, che il loro intento di ricerca venga soddisfatto.
Risultati abbelliti proprio dai seo, che ripulendo i siti e cercando di rispettare le linee guida di Google, ottimizzando i contenuti per renderli semanticamente pertinenti alle query e agli intenti dell’utente, fanno sicuramente i suoi interessi. Se tutti gli utenti cercano da cellulari, avere un sito mobail friendly diventa un must per Google e quindi di conseguenza per tutti i seo. Generando utenti felici.
Inoltre, gli spauracchi del panda e del pinguino sono sempre alle porte per ricordare a seo e webmaster come i primi posti in Google non si raggiungano attraverso lo spam ma attraverso la produzione di contenuti di qualità che sembrano non bastare mai. Anche quando siamo ormai sommersi da contenuti che escono da tutte le parti, come anche di pubblicità. Sembra che il motore di ricerca che voleva mettere ordine al caos di internet, non abbia più questa come mission principale. Ma la seo non finisce qui.
L’aspetto che secondo me sta diventando sempre più importante per un seo è l’analisi dei dati aziendali. Capire l’esperienza dell’utente, come l’utente interagisce con il sito e come arriva a concludere l’azione voluta diventa qualcosa sempre più correlata all’ottimizzazione del sito web per i motori di ricerca. Il traffico organico ricevuto da un sito deve poi essere soddisfatto nella sua richiesta, qualunque essa sia, commerciale o no.
Ecco che l’esperienza dell’utente (UX) diventa importante, ed ecco che il seo deve prendere sempre più coscienza di ciò. Analizzare i dati che ha a disposizione al fine di migliorare il sito sempre di più per dare all’utente ciò che vuole. E al cliente o al capo ciò che vogliono loro. La cosa più difficile, a mio parere, e conciliare le due cose senza creare malcontenti e assecondando le esigenze di tutti.
Ma questo è solo un altro parere personale. Che dire, dovrà il seo sempre di più concentrarsi anche sulla pubblicità a pagamento sui motori di ricerca? Tracciare il percorso dell’utente per raggiungerlo sul motore di ricerca attraverso tutti i canali disponibili, per poi tracciare il suo percorso sul sito per fare in modo che l’utente non faccia bounce back ma trovi invece i contenuti interessanti e utili, tanto da fare un secondo click sul sito e magari arrivare alla conversione?
Dovrebbe forse il seo diventare un esperto nell’esperienza di ricerca dell’utente, passando dalla search engine optimization alla search experience optimization? Questa è una domanda difficile, alla quale non credo ci sia una vera e propria risposta. I task seo come link building, ottimizzazione delle meccaniche del sito, struttura interna del sito, link building interna, ottimizzazione dei meta title e delle meta description, ottimizzazione dei contenuti on page, miglioramento della reputazione del sito online, e seo più tecnica come fix di URL canoniche, utilizzo di meta robots, analisi delle keywords e tantissimi altri task continuano tutti ad essere importantissimi per una buona ottimizzazione seo.
Ma ciò non basta più, bisogna dedicarsi anche l’esperienza dell’utente, all’analisi dei dati, intelligence, analisi competitiva, visual intelligence con mappe di calore e scroll maps e tantissimi altri tipi di report di analisi anche diventano molto importanti per capire l’esperienza dell’utente a 360 gradi, a partire dalla sua ricerca sui motori di ricerca fino ad arrivare sul sito. Questo è quello che Google chiede ai seo.
Tra i tanti dati che offre Google, però, ancora un bel mucchio di not provided.